Musica e Musicoterapia nel fine vita
Nei primi giorni di luglio di 19 anni fa è iniziata la mia esperienza professionale in Hospice.
Il caso, che si dice non esista , ha voluto che negli stessi giorni mi avvicinassi ai luoghi delle cure di fine vita da un lato professionalmente e da un altro personalmente, dovendo affrontare la malattia terminale di un familiare.
Ricordo bene che mentre salivo le scale del Padiglione 9 per incontrare il primo paziente che l’equipe mi aveva affidato mi domandavo se sarei stata capace di affrontare un’esperienza così impegnativa. Ero ben consapevole della delicatezza e della difficoltà del contesto e della situazione.
La garbata accoglienza del signor Alfonso, piena di aspettative e gratitudine per la preziosa opportunità mi ha facilitato molto, la musica ha fatto il resto.
Nel corso di molti anni mi è capitato a volte di avere un momento di esitazione prima di entrare in una stanza in cui sapevo che avrei trovato una situazione molto difficile; mi sono chiesta spesso se sarei stata capace di trovare le parole per aiutare chi in quel momento stava affrontando un dolore molto intenso; ho capito molto presto che autenticità ed empatia sono la chiave d’accesso per stabilire un contatto anche nelle situazioni più difficili. A volte è sufficiente “essere se stessi” e provare a “mettersi nei panni” di chi ci sta di fronte; le tecniche, il sapere e il saper fare della propria professionalità entrano in gioco subito dopo.
Una speciale esperienza professionale e umana
Tutte le mie esperienze con la Musicoterapia sono state molto significative sul piano umano, in tutti gli ambiti in cui ho lavorato e continuo a lavorare.
L’esperienza con l’Hospice e il fine vita tuttavia è stata quella che ha lasciato in me le tracce più profonde e quella che, pur svolgendosi in luoghi e in momenti caratterizzati dal dolore, mi ha regalato le esperienze più preziose, che mi hanno consentito di avvicinarmi alle domande fondamentali della nostra esistenza.
Il fine vita
Il tempo trascorso con le persone più diverse ascoltando musiche dei generi più lontani, le parole, i ricordi, le immagini, le sensazioni, le domande, le emozioni non solo e non sempre negative, i silenzi e gli sguardi, qualche volta gli abbracci mi hanno dato per molti anni e con molte persone l’opportunità di avvicinarmi ad qualcosa che la nostra cultura occidentale da molto tempo e soprattutto nell’attualità ignora e rimuove, nell’illusione di possedere i mezzi e gli strumenti per vincere ciò che in realtà è parte della vita stessa in un continuum che solo gli sguardi più illuminati riescono a riconoscere.
Sto parlando della morte, parola che facciamo fatica a scrivere e a pronunciare, oltre che a pensare, ma sulla quale faremmo bene a interrogarci e alla quale dovremmo dedicare riflessioni e meditazioni.
“Non è poi così difficile”
Un caro collega con cui ho condiviso buona parte della mia esperienza nell’Hospice dell’Ospedale di Cremona, lo Psicologo Paolo Boeri che ha dovuto attraversale l’esperienza della malattia e del distacco dalla vita e dai familiari quando era ancora giovane, mi ha regalato delle parole molto preziose l’ultima volta che ci siamo visti: “Non è poi così difficile”.
La saggezza e la lucidità acuite dall’esperienza della malattia gli hanno concesso uno sguardo profondo sul senso della vita, sul quale ci interroghiamo cercando risposte che non sempre troviamo, almeno fino a quando siamo da questa parte, a dibatterci in lotte e in questioni che probabilmente si dissolveranno come nebbia al sole, mostrandoci ciò che, consapevolmente o meno, andiamo cercando.
Racconti e riflessioni
Ad un certo punto della mia esperienza professionale come Musicoterapista in Hospice ho iniziato a sentire il bisogno di condividere il tanto materiale umano, emotivo, filosofico e spirituale che avevo l’opportunità di raccogliere frequentando settimanalmente tre diversi Hospice del Sud della Lombardia.
Ho sempre scritto delle osservazioni al termine di ogni sessione, inserendole poi nelle cartelle cliniche.
Lentamente ho iniziato a scegliere tra gli incontri più significativi, quelli che potevano diventare dei brevi racconti. Il lavoro è stato molto lungo e difficile, in primo luogo in quanto il materiale era denso di emozioni e di valore che richiedevano tempo e rispetto per essere elaborati e trasformati in testo scritto. Inoltre non volevo scrivere pagine banali e lacrimose; tanti anni vicino a persone che si apprestano ad affrontare l’esperienza della morte e del lutto mi hanno insegnato ad usare bene le parole e a valutarne il peso prima di pronunciarle, e di scriverle.
Il libro
Dopo una gestazione di qualche anno è così nato il libro “Il suono oltre il silenzio – Incontro con la musica nelle cure di fine vita” con cui metto a disposizione la mia esperienza con la Musicoterapia in tre diversi Hospice. Esperienza che comprende non solo le sedute con i pazienti ma anche gli incontri con i familiari che ho avuto l’opportunità di condurre insieme a Psicologi e Volontari.
Oltre a raccontare un’esperienza di molti anni il libro contiene anche riflessioni in merito allo spazio che la Musica e la Musicoterapia possono e dovrebbero occupare nei luoghi dedicati alle cure di fine vita.
Il confronto con approcci, atteggiamenti e punti di vista diversi rispetto i temi fondamentali del fine vita, la sedazione in particolare, mi ha inoltre fatto sentire il bisogno di approfondire il significato delle parole che si usano – spesso a sproposito – a questo riguardo.
L’Appendice raccoglie dati e informazioni ricavati da fonti ufficiali in merito a temi particolarmente sensibili dal punto di vista etico e filosofico oltre che medico.
A chi si rivolge il libro
Il libro può essere utile a tutti coloro che professionalmente operano in contesti in cui si affronta il momento del fine vita, non solo Hospice ma anche residenze per anziani: Psicologi, Medici, Infermieri, Operatori Socio Sanitari, Educatori, Terapisti Occupazionali, Volontari, naturalmente Musicoterapisti oltre che altri Terapisti che utilizzano forme d’arte per entrare in relazione con i pazienti.
Il libro non si rivolge solo ai professionisti ma a tutte le persone che desiderano interrogarsi sul valore e sul significato dell’esperienza dell’accompagnamento alla morte, anche utilizzando la musica e il suono come speciali veicoli per stabilire un contatto là dove spesso, ci sono solo chiusura e silenzio.
Alcuni estratti
Riporto di seguito alcuni estratti del libro.
“È stata probabilmente questa impronta iniziale a facilitarmi nel difficile compito di imparare a mettermi in gioco senza maschere nel rapporto con le persone che sentono e sanno di essere arrivate alla fine di questa esistenza. Ho capito bene, lavorando in Hospice, che non c’è nulla che possa aiutare nell’andare incontro alla sofferenza e alla paura se non la semplicità nell’affrontare la relazione, senza finzioni e senza ipocrisie; è stato chiaro da subito che non serve cercare rifugio dietro la maschera della professione piuttosto che dei buoni sentimenti e della misericordia: la sensibilità esacerbata della persona sofferente e malata porta con sé una speciale capacità nel trapassare maschere e mantelli. Ho imparato subito che di fronte alla morte siamo tutti uguali, pazienti o professionisti; indossare un camice o portare un cartellino non preserva dal destino che aspetta tutti, indifferentemente. L’arroganza che facilmente tinge i volti e le movenze di molti medici e sanitari in genere, che camminano altèri dentro i loro camici svolazzanti, non basta a prendere le distanze del destino che si vede quotidianamente compiersi in altri e che prima o poi arriverà anche per noi, per chi ci è caro. Purtroppo anche la sincera dedizione al bene e alla compassione non preserva dal male, che può colpire chiunque, in qualunque momento. Ho sentito tante domande con cui si chiedeva ragione dell’accanimento del male nei confronti di chi aveva fatto solo bene. Al di là delle formule di rito, non ho ancora sentito risposte che abbiano realmente disvelato il senso. La fede aiuta, aiuta molto; non sempre però è sufficiente. Ho visto devoti arrabbiarsi con Dio o reclamare una grazia dovuta, ho visto la paura sbriciolare certezze radicate in una fede che improvvisamente non trovava più il suo orizzonte. Ho visto atei e agnostici, ma anche fedeli affrontare con calma e serenità ciò contro cui – da un certo punto in poi – è inutile combattere.”
“Mi piace paragonare la musica ad un passepartout, una chiave che consente di aprire porte che sembrano chiuse. Nella mia esperienza ho constatato come molto di frequente in situazioni come quelle cui ho accennato sopra, in cui c’è un bisogno di espressione e condivisione ma la tendenza alla chiusura e all’isolamento prevalgono, la proposta di ascoltare musica può contribuire a spezzare il cerchio e a dare vita ad uno spazio comune dove l’empatia e la sintonizzazione degli affetti consentono l’ascolto e la condivisione, non solo della musica. Accettare la garbata e discreta proposta di ascoltare insieme una canzone, un’aria d’opera o un brano dell’autore preferito può essere un primo passo per aprirsi alla comunicazione, al racconto di sé, alla condivisione di paure, dubbi, speranze.”
“La musica offre la possibilità, qualche volta, di spezzare un angoscioso silenzio di attesa e di dolorosa sospensione; l’ascolto – inteso in senso lato come ascolto empatico e non solo come ascolto musicale – può offrire l’opportunità della condivisione, generando cambiamento e trasformazione.”
Rosina
“Parla con calma, mantenendo dentro al pigiama a fiorellini una postura naturale ma composta, ben dritta eppure rilassata, lo sguardo chiaro ma un po’ opaco è rivolto verso di me ma sembra attraversarmi e proseguire lontano, all’indietro, a ripercorrere un arco di vita lungo 89 anni, gran parte dei quali trascorsi in una parrocchia di campagna, accanto al fratello sacerdote e alla comunità locale. Parla come se ancora stesse accompagnando il fratello nei suoi compiti pastorali o accudendo le bambine a lei affidate; di tanto in tanto mi osserva come se mi stesse vedendo per la prima volta, cerca di mettermi a fuoco attraverso un velo opaco che non nasconde del tutto la luce e la vivacità del suo sguardo; torna a chiedermi cosa faccio e di cosa mi occupo. Provo a ripeterle che mi occupo di musica e che se le facesse piacere ne potremmo ascoltare un poco insieme; la risposta che arriva pronta e con un tono che non lascia spazio a repliche e dubbi mi fa capire che Rosina è ancora là nella sua parrocchia, ad occuparsi con efficienza e puntualità di tutto ciò di cui c’è bisogno: Ma si figuri! Non ho certo tempo per la musica! Con tutto quello che c’è da fare per tenere una chiesa pulita e in ordine … Un attimo dopo ritorna al presente, si guarda indietro e dice di avere trascorso una vita molto lunga, di essere soddisfatta di tutto quello che ha fatto (…)
Sarà la volontà del Signore … solo lui decide quando è il mio momento … noi non possiamo sapere … è la sua volontà … Nessuna espressione di paura, nessun lamento, nessun rimpianto, solo fiduciosa e tranquilla attesa. Il mio momento non è ancora arrivato. Aspetto che il Signore mi venga a prendere e mi porti con lui. Aspetto, sono pronta. Con semplicità, immediatezza e chiarezza Rosina condensa in poche frasi pensieri, valutazioni, bilanci, ricordi e aspettative su cui ha potuto meditare a lungo nel silenzio dei giorni trascorsi in ospedale e che ora affiorano come distillati; Rosina li offre nella loro essenzialità a chi si voglia soffermare a parlare con lei e ad ascoltarla, mentre aspetta di andarsene.
La osservo mentre con tutta la sua composta tranquillità, chiarezza di pensiero, lucida consapevolezza mi dice che si sta preparando per il suo ultimo viaggio.
Per un attimo non sembra nemmeno che sia in una stanza d’ospedale, con indosso un pigiama a fiorellini; potrebbe essere in un parco, circondata dal maggio che finalmente ci riempie con la sua luce e i suoi colori, seduta tranquillamente su una panchina guardando davanti a sé e aspettando che la passino a prendere: Dicono che qui si viene a morire … ma … non so cosa dire …”